Escursione del 3 maggio 2025
1995. In un giorno d’estate mio padre, radioamatore appassionato, decide di portarmi con sé in montagna. Non conosco la destinazione, ma so che è un luogo che spesso ha nominato durante le sue chiacchierate con altri appassionati. Andiamo perché lì, a quasi 800 metri d’altitudine, il segnale CB – la citizen’s band dei suoi ricetrasmettitori – arriva forte e chiaro.
È mattina presto. L’aria è già calda ma ancora sopportabile, e noi saliamo a bordo della FIAT 126 gialla targata Reggio Emilia. L’abitacolo ha quell’odore tipico di stoffa scaldata dal sole e plastica vissuta. Ci dirigiamo verso Liberi, località Fontana Lazzaro.
Da lì parte la strada-pietraia, al tempo più dissestata di oggi, che conduce al Monte Friento. Il fondo in alcuni tratti è sconnesso, eppure la 126 ci conduce fino al punto previsto dove non sarà più possibile procedere in auto. Oltre, solo a piedi.
Arrivati in cima, mio padre apre la valigetta metallica con cura e collega il suo ricetrasmettitore portatile. Sintonizza con precisione sul canale giusto. Dopo qualche tentativo, una voce risponde. Corrado, camionista. Si chiama come me, me lo ricordo bene. Hanno un breve scambio, parlano della posizione, del tempo, di strade. Io ascolto in silenzio come se stessimo comunicando con un altro pianeta.
Poi ci mettiamo seduti per un po’. Il cielo è limpido e le colline sembrano onde verdi adagiate sulla campagna. Prima che il sole salga ancora, iniziamo il ritorno con una passeggiata, che a tratti si trasforma in corsa date le pendenze. Prima di giungere alla macchina, mio padre mi descrive alcune installazioni ad-hoc fatte dai radioamatori, con postazioni che prevedono antenne altissime per ottenere un segnale ancora più stabile e forte. Mi ricorda anche di idratarmi, di evitare il sole diretto, di ascoltare sempre il proprio corpo. Consigli semplici, ma che porto ancora con me.
Tornati alla macchina mi siedo, scottandomi ancora una volta le gambe sulla pelle rovente del sedile.
Il rumore delle cicale ci accompagna mentre iniziamo la discesa. Si torna a casa.
Inizio escursione
Mattina del 3 maggio 2025. È una delle prime autentiche giornate di primavera, anche se nel cielo, che è bello limpido, la pressione aumenta e si preannuncia l’arrivo di foschia. Dopo qualche chilometro di pedalata ne approfitto per fare una foto al Monte Friento, obiettivo di oggi, mentre passo ai sui piedi in località Casalicchio.
Dalla località Fontana Lazzaro l’arrivo in vetta costa di 3 km, passando dai 520 ai 770 metri di altitudine, per un dislivello di 250 mt. Il percorso si articola in curve, con pendenze che si alternano: le più importanti arrivano al 15% circa.
Superata la fontana, dopo pochi metri inizia la carrareccia. Il primo tratto si presenta con salite che risultano essere più faticose soprattutto nei tratti in cui la pietraia è più sconnessa e quindi instabile. L’intero percorso si alternerà fino alla vetta tra dissesti e tratti più compatti, con fondo perlopiù instabile e scivoloso per la bici, tipico dei versanti esposti, a volte caratterizzato da una rigogliosa erba di centro strada.
All’ingresso del bosco, il sentiero si fa strada tra querceti con tronchi nodosi e rami aperti che lasciano filtrare la luce. Proseguendo, la vegetazione si infittisce: ai margini iniziano ad affacciarsi pini da rimboschimento con le chiome che ondeggiano appena al passaggio del vento. L’atmosfera si fa più umida e profumata di resina, mentre il terreno si copre di aghi e foglie. In uscita, la luce torna ad allargarsi tra gli alberi, lasciando intravedere i profili della valle e restituendo nuovamente quel senso di piena libertà.
Dopo circa mezzo chilometro ne approfitto per fare una sosta ed osservare l’ambiente che mi circonda. Il cielo è ricoperto dal verde, i rami delle piante si intersecano fino a formare una galleria verde, al punto che anche il bianco della pietraia sembra tingersi dello stesso colore. Inoltre, nel corso di questo primo tratto ho notato l’imbocco di un paio di sentieri a scendere, a prima vista chiusi dalla vegetazione.
L’arrivo in vetta
Dopo circa 2,5 km di un percorso che somiglia ad una S, ad accogliermi in cima ci sono gli impianti delle antenne installate sul monte.


Mi faccio avanti per accostarmi a quella più alta, delimitata da una rete di recinzione. Questa è ubicata su una piattaforma in cemento. Parcheggiata la bici, avanzo di qualche metro lasciandomi la struttura alle spalle, entrando nell’erba. Dinanzi a me affiorano grossi blocchi di pietre calcaree dalla disposizione irregolare, contornate da fiorellini gialli scenografici.
Prima di spostare lo sguardo in avanti, continuo la perlustrazione dal basso, scrutando quindi l’anticima verso sud. Si tratta di una composizione particolare: alberi scuri e un prato di un verde chiaro piuttosto uniforme. Osservo spesso questo punto dalla strada, con la piacevole sensazione di un tappeto verde sui cui stendersi. Tuttavia oggi non raggiungerò questo punto, lasciandolo come obiettivo di visita per il futuro.


Faccio per scendere ulteriormente lungo il versante del monte in modo tale da guadagnare un panorama più completo, ma guardando il terreno vengo distratto da una farfalla dalle dimensioni insolite, posata su uno stelo dolcemente dondolato dal vento. Nonostante la mia vicinanza per un video di 30 secondi, fortunatamente questa resta in posizione, rendendosi pienamente protagonista del momento.
Sul tetto di Friento
Con lo sguardo rivolto verso sud si osserva Castel di Sasso, situato più a est. In primo piano, il Monte Fallano (affiancato dal Monte Maiulo, il monte della cava non visibile da questa prospettiva) “segnato” dalla traccia che lo attraversa da un capo all’altro.
La combo Fallano-Friento è ben osservabile appena imboccato il Ponte “Tubo” che sovrasta il fiume Volturno, procedendo in direzione Pontelatone.

Le sue pendici laterali, ampie e morbide nelle pendenze, gli danno l’aspetto di un gigante dalle spalle larghe.
Guardando oltre si apprezza l’apertura della Valle del Volturno, dove rettangoli marroni di terreno coltivato si fanno notare tra il verde di praterie, ulivi, lecci e arbusti. Di fronte spicca il Monte Tifata. La foschia aumenta leggermente, il che non consente di apprezzare ciò che si trova oltre e fino alla linea di costa. In un attimo mi sembra di aver raccolto tutto il comprensorio dei comuni limitrofi in un’unica vista, e adesso la sensazione di questo panorama è davvero unica.
Il giro continua, e risalendo verso est si osserva la catena che comprende Colle Palombara, Monte Rageto, Monte Grande e così via a salire verso Piano Razzano e Monte La Costa, situati ai piedi del Monte Maggiore.
A ovest è ben visibile l’abitato di Formicola, che da questa prospettiva è adagiato nella vallata compresa tra la catena descritta ed il Monte Pettine, rilievo che si trova accanto al Monte Sant’Erasmo.
Proseguo con lo spostarmi ancora verso nord-ovest, ottenendo prima una veduta su Savignano e Casalicchio, e successivamente sul primo tratto dell’abitato di Treglia, tra cui ritrovo la mia casa d’infanzia.
Da quassù, i vigneti sparsi per le campagne si mostrano in tutta la loro perfezione, come un intreccio regolare di linee che sembrano tracciate a mano ferma, geometriche e ordinate come disegnate da un’artista.
È insolito poter osservare il Monte Sant’Erasmo dall’alto, che vanta oltre 700 metri di altitudine. Questo ospita il vecchio mulino a vento, collocato sul versante che affaccia su Treglia, appena visibile come un quadratino bianco nella parte centrale della foto che segue. A sinistra delle case e della strada provinciale si nota inoltre il Monte Castello (350 mt).
Più a nord si osserva la strada comune di collegamento tra il sito archeologico di Trebula Baliniensis e la località Campole. Dovrebbe esserci anche un sentiero di montagna che collega questi due luoghi.
La visuale a nord invece ci riserva la veduta su Monte Melito (803 mt.), Monte Sant’Angelo (865 mt.) e il Monte Etna (662 mt.). Gli abitati visibili sono quelli di Cese, Merangeli e Profeti. Sullo sfondo i Monti del Matese.
Prima di rimettermi in sella guardo le foto appena scattate, con l’idea di pubblicarne una sui miei social. Mentre sto per farlo mi tornano alla mente i baracchini CB di mio padre. Sto per pubblicare una foto in alta definizione, i dati che la compongono a breve attraverseranno numerosi processi di codifica e decodifica analogici e digitali ad alta velocità di trasferimento mediante una tecnologia disruptiva. Il tutto in pochi secondi. Mi fa sorridere il fatto che, ai tempi di 30 anni fa, per comunicare bisognava trovare un punto idoneo, sintonizzarsi sulla frequenza per poter scambiare solo parole tramite quello che oggi si direbbe essere un “mattone” con un piccolo display a cristalli liquidi!
La discesa
Sono trascorsi quindici minuti dopo mezzogiorno e il sole si fa sentire. La discesa non è molto comoda per la mia sport trail, ma il piacere di dover attraversare questo bel tratto di natura rende le cose diverse.
Quasi a metà del percorso, in un tratto ben soleggiato giace sulle pietre un serpente nero, che si accorge della mia presenza e attraversa la strada sfiorando la mia ruota… questione di centimetri! 😰
Superato l’incontro inaspettato, la discesa continua tranquilla. A un tratto, in un’apertura tra le essenze arboree, intravedo in lontananza i tetti delle case, segnando il graduale ritorno al contesto antropizzato. Perderò questa visuale qualche decina di metri più avanti.
La transizione verso valle è netta ma più armonica, con il sentiero che procede fino a ricongiungersi con la sterrata iniziale: sono nuovamente alla Fontana Lazzaro!
Tornato in paese, un ultimo sguardo all’indietro. Basta un dito per raccontare un’avventura: altro che Google Maps, qui si indica a sentimento! 😅

Chiudo con un’immagine del monte con un volto diverso. È un “jolly d’inverno”, e chi vive da queste parti sa che è raro vederlo così!
Video by Relive